5.09.2025 – Un coming of age onirico e fiabesco, dove silenzi e paesaggi conducono alla pienezza di sé.
Voto: ★★1/2
Strange River, presentato a Venezia 82 nella sezione Orizzonti è un film sulle impetuosità di un’animo che timidamente si lancia verso l’età adulta. Tutto è sussurrato ma non sottotraccia nell’incedere del racconto che non forza il registro narrativo per lasciare che a scorrere sia il sentire sempre più consapevole del protagonista alle prese con le tempeste emotive dell’adolescenza.
Didac è un sedicenne come tanti che si affaccia al mondo con curiosa e circospetta attesa per carpire quale sentiero percorrere: galeotta sarà la vacanza estiva con la sua famiglia sulle sponde del Danubio, forse l’ultima estate in cui il tempo dell’ingenuità fanciullina convive con le pulsioni adulte.
Le rarefatte atmosfere naturali sopravanzano lo sfondo e donano ulteriore lirismo al viaggio, soprattutto ai confini della propria individualità, che Didac intraprende. Ogni riferimento è simbolico e compiuto: l’acqua, purissima e catartica, che lambisce un incontro inatteso e venato di onirismo con un misterioso giovane che si muove sinuoso come un ondino e schiude il suo turbamento indecifrato; la natura incontaminata, edenica, libera, come a significare il contatto senza schermi con la quintessenza dell’essere autentico; l’imbarcazione, antro del proprio animo, approdo temporaneo e nel contempo guida verso una dimensione consapevole e partecipe del proprio io.
In questo incedere felpato mirabile è la raffigurazione risolta e priva di problematicità delle interazioni del protagonista con i suoi genitori che, con un invisibile e perciò solidissimo supporto emotivo, conducono Didac a leggersi, a capirsi a dare serenamente un nome al suo trambusto.
La sola nota di apparente conflitto, non davvero profondo, si osserva con il fratello di poco più piccolo, reo ai suoi occhi, con tutta probabilità, di versare ancora in uno stato limbico semi infantile e di potersi ancora godere quell’innocenza libera da ogni turbamento che Didac già rimpiange.
Il regista sembra mutuare il piglio discreto e nel contempo umanamente vicino che i Dardenne hanno più volte portato sullo schermo trasferendolo, però, su un racconto che muove dalla realtà per lambire confini fiabeschi.
La macchina da presa non invade lo spazio, osserva silente lo sguardo del protagonista ed il suo dubitare e domandarsi, il racconto fa a meno di ogni interazione dialogica non necessaria per lasciare al silenzio ogni profondità discorsiva. Ogni inquadratura insegue il vero con apparente impalpabilità e non forza il ritmo né la storia che scorre come un refolo di leggera brezza.
Strange River è un’opera prima che avvolge lo spettatore con la stessa grazia di un timido sole che trapela nella radura e descrive liricamente la necessaria scoperta di sé come approdo alla piena consapevolezza.
https://www.labiennale.org/it/cinema/2025
Simon