8.11.2017 – Il tre novembre scorso, nell’ambito della stagione di prosa 2017/2018 del Teatro Duse di Bari, fuori abbonamento, ha debuttato, con lo spettacolo “Il fiore del mio Genet- Spettacolo itinerante tra i bassifondi dell’anima”, la Compagnia Teatro delle Bambole con il sostegno di CEA Masseria Carrara, Collinarea Festival e Luccica, Festival dell’Arte.

Lo spettacolo rientra nel progetto di ricerca del Teatro delle Bambole “La lingua degli insetti-Cofanetto 6:Farfalle”.  Il regista, durante la presentazione dello spettacolo presso Prinz Zaum di Bari, qualche giorno prima del debutto, illustrando il progetto, ha svelato che “L’approccio al mondo immenso e misterioso degli insetti …ha permesso di aprire…lo sguardo su possibili connessioni con il mondo altrettanto misterioso degli esseri umani.” 

In questa impegnativa ricerca nasce la drammaturgia dello spettacolo firmata da Andrea Cramarossa, regista e  anche curatore dell’allestimento. Ispiratrici le opere di Jean Genet “Diario del ladro” e “Sorveglianza stretta”.

Due soli personaggi protagonisti, interpretati da Federico Gobbi e Domenico Piscopo. Gli attori agiscono e ripercorrono frammenti di vita dei personaggi, con i costumi curati da Silvia Cramarossa, mentre descrivono e si soffermano su aspetti di volta in volta significativi per il proprio sé, per la propria esistenza; si tratta di quegli stessi aspetti che utilizzati dagli altri, diversi da sé, dalla società, li han fatti relegare ed identificare con uno stigma ben preciso ora in ladri, ora in traditori, ora in omosessuali, ora in oppressi, ora in violenti.

La  presenza continuativa della tensione conflittuale dei personaggi tra quello che realmente sono, uomini tribolati sin dalla nascita, inascoltati, privati di accoglienza affettiva ed umana, e ciò che sono per gli altri, ladri, omosessuali e traditori, viene rivelata dall’interpretazione attoriale fra le bellissime maschere di Luigia Bressan e gli allusivi spazi scenografici.

Gli attori entrano in teatro, dall’ingresso della platea, con vistose maschere di uccelli regali recando sulle spalle in processione, una statua votiva, mentre una voce registrata, con cinguettio di sottofondo, elenca nomi di altri uccelli; giunta la processione sul palcoscenico, i personaggi, smascherati, si ritrovano in una cella, di prigione, o forse di monastero, in un luogo che per quanto angusto, costringe ad una creatività narrativa, di momentanea liberazione dell’oppressione in essere.

Si assiste al passaggio esistenziale che dalla purezza giunge alla malvagità. Un passaggio umano che sacrifica la prima qualità per la seconda e che non torna più indietro!

Nello scandire della vita quotidiana in cella, descritta anche nei gesti più intimi, vengono generate e regalate, in versi e prosa, storie attinte dalla propria vita, legate alla sessualità, all’adolescenza, al furto, nonchè storie di mera invenzione come quelle delle proprie madri e dell’amica Emanuela, sostenute dallo sdolcinato e più popolare sound  napoletano.

Per Andrea Cramarossa la costrizione generatrice è metafora della vita dell’uomo come era stato per Genet e i suoi personaggi autobiografici: anche in questa pièce essi sono diventati quel che erano per gli altri, grazie, o meglio, proprio a causa del Male altrui. Nati liberi, presto vengono legati a degradati clichès umani.

Come ideati nell’opera di Cramarossa, essi stanno a Genet come Genet sta all’eroe Goezt ne Il diavolo e il buon Dio di Jean-Paul Sartre. Quest’ultimo avrebbe detto per loro che “è importante non ciò che si fa di noi, ma ciò che noi stessi facciamo di ciò che si è fatto di noi”. 

Genet, scrittore, poeta e drammaturgo, nato da padre ignoto e cresciuto in una famiglia adottiva francese, già alla tenera età di dieci anni, per aver compiuto un piccolo furto ed essere stato scoperto, sarà dalla stessa madre adottiva definito un ladro: un marchio di cui mai si libererà e che, forse per risentimento, ma di certo anche per protesta, continuerà, volutamente, a coltivare perpetrando altri furti e sentendosi a suo agio solo spendendo e intrecciando la sua vita al fianco di poveri infelici, incompresi, ladri, reietti e disadattati come lui!

Personaggi già noti a Pirandello e coevi di Sartre, nella loro rappresentazione ricordano abbastanza fedelmente anche i deformati soggetti baconiani.

Al di fuori della cella i personaggi continuano a vivere e prendere respiro, ma ormai segnati con la propria croce_sul corpo e nell’anima, in una danza a passi di oppressori e oppressi illuminata ad intermittenza, per finire sepolti a carne viva, senza altre possibilità di vita.

Suggestivo tutto lo spettacolo, anche se a metà, ha manifestato un po’ di stanchezza sia per la non breve durata della scena che per la difficoltosa calibratura degli ampi movimenti di danza chiaramente sofferenti del limitato spazio scenico.

Il finale effettistico della pièce mutua modalità espressive dall’arte performativa, di cui volutamente non si svelano i dettagli, alterando, diversamente, l’esito creativo che le è congenito.

Il ricordo di Genet, reso visivamente con un’immagine srotolata del suo ritratto, ritorna a ciascuno come un chiaro invito ad attraversare la propria anima, o la propria coscienza se si preferisce, e a scandagliare quanto la nostra esistenza sia indifferente all’altro perchè così voluto da altri uomini e/o quanto, invece, altri uomini siano indifferenti perché così voluti dalla nostra esistenza.

E’ il lodevole percorso che ha mostrato aver effettuato ciascun attore nello studio  dei personaggi interpretati, altri da sé e anche dall’altro attore con cui è entrato in correlazione.

Impegnativo lavoro per coloro che hanno contribuito alla sua realizzazione, ma anche per gli spettatori che vi prendono parte, qualificandosi senz’altro quale pregevole contributo nell’ambito della ricerca teatrale.

Prossima importante tappa sarà quella di Milano dal 2 al 4 Febbraio 2018 presso lo Spazio Avirex Tertulliano.

Emilia Brescia

Foto di Andrea Casini

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