27.05.2017 – Médée Matériau è il titolo attribuito al testo riscritto dal grande drammaturgo contemporaneo tedesco Heiner Müller della più nota tragedia euripidea. Il testo, tradotto dal tedesco al francese ad opera di Jean Jourdheuil e Heinz Schwarzinger, e pubblicato per la casa editrice Les Édition de Minuit, è stato messo in scena dal fondatore della scuola d’arte drammatica di Mosca, da annoverare, meritatamente, tra i maggiori registi e pedagoghi teatrali  nel panorama della storia del teatro russo (è stato allievo di Maria Knebel, a sua volta una delle ultime allieve ed eredi dirette di Stanislavski) ed internazionale, Anatoli Vassiliev. L’attrice che, invece, interpreta Medea, unico personaggio presente in scena, è la bravissima francese Valérie Dréville, associata al TNS (Théâtre National de Strasbourg), struttura presso cui la pièce è stata rappresentata dal 29 aprile al 14 maggio scorsi.

Vassiliev e Dréville incontrano nuovamente, dopo circa undici anni la maga Medea del drammaturgo tedesco; il testo letterario dopo una iniziale chiara struttura drammaturgica con i personaggi della nutrice e Giasone, continua  in forma lirico-monologica sottintendendo la drammatizzazione con gli stessi personaggi e con i bambini i quali ultimi prima di essere sacrificati dalla madre (Medea) con il noto estremo gesto, nel testo delle azioni, vengono vestiti con cura e distratti dal ludico affetto materno.

Relegati al teatro di figura i figli, in scena, sono collocati inizialmente su uno sgabello, di spalle al pubblico, e legati, ciascuno, con il filo che li unisce alla madre e che la stessa poco dopo arriverà a rompere per resettare la storia vissuta fino a quel momento e per sottrarre i piccoli alla sofferenza dell’esilio materno che avrebbero subito a causa del tradimento compiuto dal marito Giasone con la più giovane figlia del re di Corinto.

Un dolore intimo e profondo quello della principessa della Colchide, maga e barbara, che invaghitasi di lui e accecata dalla passione, per  aiutarlo a conquistare il famoso, fecondissimo vello d’oro uccide il proprio padre e il proprio fratello: l’estrema sofferenza, però, tanto provocata quanto subita,  redime Medea dalla percezione di quel banalizzato dolore presente in tutta la sua storia, fino a trasfigurarsi in un’altra Medea.

L’appropriata scenografia curata dallo stesso maestro Vassiliev unitamente a Vladimir Kovaltchouk ha visto installato, quasi al centro del palco, un grande schermo su cui all’inizio dello spettacolo è stato proiettato l’intero testo letterario, con buona pace di chi, me compresa, lamenta l’assenza dei libretti drammaturgici a teatro prima dello spettacolo. Subito dopo, per tutta la durata della pièce di circa un’ora e 15 minuti, è stato proiettato un video firmato da Alexandre Chapochnikov che ha raccontato il mare in tutti i suoi moti e che da particolare, identificabile in quello che bagna la dimora terrena di Medea, espandendosi su tutto il muro della sala teatrale Koltès di forma anfiteatrale, sconfina in oceano e cielo, suscitando e donando negli spettatori astanti effetti sensoriali diretti: insieme e, attraverso Medea,  si è trasportati, verso altre possibilità di  vita, astraendo metafisicamente il particolare per farlo approdare all’universale.

In questa parafrasi si concretizza la trasfigurazione di Medea che da personaggio barbaro con i suoi noti gesti da riti sacrificali realizzati con specchi, unguenti, creme, alcool e fuoco, anela a personaggio che supera la prigionia terrena delle passioni umane, supera il mito stesso, i generi maschile e femminile, gli dei e lo stesso Giasone di cui ormai  non ne riconosce nemmeno più l’identità, per recuperare la freschezza della Medea pregiasoniana grazie all’integrale rinascita personale.

Il lavoro sulla pièce si è originato dal testo che nella forma voluta dal suo autore, reinventore, evidentemente, della drammaturgia contemporanea, ha rimandato regista e attrice ad analizzare le parole scritte per ritrovare il loro suono arcaico e preesistente quale componente essenziale nella struttura ludica dell’azione scenica; fenomeno che similmente accade per le immagini delle icone bizantine (come saggiamente suggerisce l’assistente di Vassiliev, Natascia Isaeva): l’attrice parla così con le intonazioni affermative del suo personaggio come quelle che si avvertono decisamente nei suoni di alcune arti marziali, provocando, a volte, negli ascoltatori, un velato senso di ironia. L’ipotesi e il risultato dell’eccellente e impegnativo training vocale durato alcuni anni, convince pienamente.

Parimenti si dica per i gesti lenti, calibrati e precisi dei sacrifici realizzati in scena da Medea, affatto disturbati o banalizzati dal nudo dell’attrice, che mai, come in questa pièce, è percepito in maniera appropriato e utile al passaggio trasfigurativo del personaggio.

La pièce, coinvolge fortemente gli spettatori nel percorso del mito agito da un’ottima Dévrille, provocando una sorta di ipnosi mozzafiato sollecitata dal perpetuo moto ondoso del tridimensionale mare-oceano. La grandezza e genialità del  regista e maestro Vassiliev è  confermata a tutto tondo ancora una volta con la messa in scena di questa pièce.

Nonostante siano trascorsi alcuni giorni dalla mia partecipazione allo spettacolo, il ricordo  mantiene ancora vivo il respiro dell’atmosfera ipnotica, sopraffine e delicata di cui è intrisa tutta l’opera; la lettura registica risulta coerente in considerazione del tema trattato coincidente con l’intima e individuale decisione di rinascita di Medea che sebbene diventi, filosoficamente parlando, una decisione metafisica, continua a mantenere tutta la tenerezza e delicatezza sue proprie, quelle stesse  che ben possono appartenersi ad ogni donna e ad ogni uomo di questo mondo.

La lettura di Medea proposta dal caro maestro russo, pur richiamando alla mente la lettura catartica offerta dall’omonimo film pasoliniano, si distanzia da quella attraversando la catarsi per andare oltre e giungere ad una rinascita di Medea; la nuova ipotesi si distingue anche sia rispetto alla precedente interpretazione adottata dallo stesso maestro, all’epoca più vicina alla struttura psicologica, sia rispetto a quelle che nei vari periodi della storia della letteratura drammaturgica si sono susseguite partendo da quella non umana di  Euripide per passare a quella  colpevolista di Seneca, a quella giustificatrice e affievolitrice della colpa di Grillparzer ed Alvaro.

Un plauso va alla stampa del TNS per l’attenzione ai testi teatrali, alla critica e alla fotografia, tutto di ottima fattura e agevolmente fruibile dagli spettatori.

Un intenso lavoro teatrale per specialisti del teatro e non. Per chi vorrà farsi piacevolmente ammaliare da Medea e percorrerne il mito, il prossimo appuntamento è a Parigi presso il Théâtre des Bouffes Du Nord dal 24 maggio al 3 giugno.

Emilia Brescia