15.07.2022 – Nella  multidisciplinare programmazione della importante kermesse teatrale “Campania Teatro Festival”, per la sezione Progetti Speciali, l’otto luglio scorso, presso la Sala Assoli di Napoli, ha visto il debutto assoluto lo spettacolo “2084 L’anno in cui bruciammo chrome”, scritto dal geniale ed instancabile  Marcello Cotugno che ne ha firmato anche la regia.

Lo spettacolo è l’esito di un progetto performativo nel percorso di ricerca del prestigioso Master in Teatro Pedagogia e didattica. Metodi, tecniche e pratiche delle arti sceniche dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, diretto dalla professoressa e attrice Nadia Carlomagno.

Il titolo della pièce che pure grida alla letteratura distopica, e per tutti a 1984 di G. Orwell, e alla visione fantascientifica cyberpunk e per tutti a “Snow Crash” di Neal Stephenson, nella trasposizione teatrale dell’azione urla, invece,  dal sottosuolo dostoevskiano.

E’ la storia dei quattro membri della famiglia Donati  che coabitano in un modesto e ordinato appartamento di un’immaginaria città occidentale, ormai colonizzata dalla potenza cinese e perciò caratterizzata da complesse automazione e tecnologia. Ideogrammi cinesi, in sostituzione della terminologia inglese, come scalfiture su pietra, sono proiettati sulla scena e ne scandiscono  gli accadimenti di vita quotidiana.

I personaggi,  portati da ben credibile interpretazione attoriale, compreso quello dall’avatar nel metaverso, Xe (voce Anna Simeoli) – realtà virtuale, sostitutiva anche di quella familiare per Izar ( Graziano Purgante), sono accomunati da una nevrosi o inquietudine che sfocia nel tentativo di riscatto sociale e/o interiore.

L’inquietudine è fomentata dall’ambiguo funzionario del Governo (Paolo Capozzo) incaricato di fornire strumenti quali visori, droni e corpi femminili, con scopo correttivo e corruttivo, per nuove attività lavorative finalizzate al superamento della soglia di povertà della famiglia Donati, di cui diretti destinatari sono Perseo (Francesco Maria Cordella), sua moglie Atria (Nadia Carlomagno) e la figlia Alhena (Giulia Scognamiglio/ Antonella Durante).

Il figlio Izar sfugge al controllo del funzionario, ma non alla dipendenza tecnologica che lo ha fatto diventare un hacker; per Izar l’epilogo è un effetto boumerang per salvarsi dal quale è costretto a scomparire con nuova identità, non più virtuale, e con la bicicletta del padre, invece che con internet e pc, su un tappeto di coinvolgenti e struggenti note musicali (selezionate dal regista) della rock band asiatica  Omnipotent Youth Society.

Invitanti mele rosse, di biblica memoria,  posate sui sedili delle sala comunicano agli spettatori il loro sicuro coinvolgimento nella brechtiana messa in scena.

Sarà proprio il funzionario a provocare il personaggio/spettatore con il suo ingannevole filosofeggiare circa la possibile felicità  del programma governativo attraverso il duro lavoro e il controllo sociale!

E così, personaggi  e fatti come tessere colorate di un complesso e grande puzzle, a servizio ora del teatro epico ora di quello performativo, appaiono, si svelano, interagiscono raggiungendo il picco della speranza per una vita migliore da cui però ben presto discenderanno per ricercare ancora la felicità: infatti come Izar, anche sua sorella Alhena, sebbene abbia tentato qualcosa di ultra-niubi(cool) modificando il proprio corpo attraverso un intervento sofisticatissimo di mutazione genetica, causa il rigetto del nuovo corpo, non potrà continuare a svolgere il lavoro di cantante con programmi liù méi tǐ (streaming) e continuare ad ottenere lauti guadagni.

Anche i loro genitori, dopo aver ottenuto  dal funzionario i promessi nuovi lavori per uscire dalla povertà, saranno entrambi licenziati l’uno per non avergli dato la mazzetta, l’altra per non aver voluto più sottostare ai suoi ricatti sessuali.

Perfino l’ambiguo funzionario, dall’alto della sua posizione sociale svelerà nel finale della pièce, la sua frustrazione di quadro governativo cui si era aggrappato per sfuggire al suo essere un morboso solitario. Le colorate tessere del puzzle si sono così dissolte  in immagini di martirio in bianco/nero.

Lo spettacolo risulta di elevato valore sociale, culturale e pedagogia teatrale  sia per i temi trattati che per l’uso intersecato dei diversi linguaggi comunicativi e, soprattutto, per quello altamente tecnologico il quale ultimo è presente nel complesso lavoro anche come uno dei temi centrali per domandarci se la tecnologia permetterà all’umanità di sopravvivere!

Al lavoro teatrale, la cui produzione è di ACTS Ass. culturale TOP SPIN, ha partecipato un nutrito gruppo di allieve/i del Master Teatro Pedagogia e Didattica dell’Università Suor Orsola Benincasa  di cui Paolo Capozzo, Antonella Durante, Graziano Purgante, Giulia Scognamiglio, Anna Simeoli, per la parte attoriale, Marzia Simiani e Salvatore Mazza per  Vfc; le allieve/i dell’Accademia di belle Arti di Napoli che hanno curato le scene (Jia Chenghao, Fabio Cosimo, Alessandro Fraia, Gao Jing, Assunta La Corte, Giorgia Lauro, Cecilia Marcucci, Wu Yongqi Graca, Gennaro Monforte, Francesco Domenico D’Auria), Arianna Cremona per l’aito regia e collaborazione alla drammaturgia, Fiorentina Mercaldo e Marta Finocchiaro  per l’assistenza alla regia, nonché  Pasquale Mari per il pregevole contributo del progetto luci e Irma Ciaramella per la puntuale ed ineccepibile ricerca e realizzazione dei costumi.

Ad Maiora!

https://campaniateatrofestival.it/

Foto di Valerio Dema

Emilia Brescia