03.02.2015 – l 10 e 11 gennaio scorsi nello spazio teatrale KISMET Opera ha ripreso la stagione del nuovo anno con uno dei maggiori maestri della pratica teatrale contemporanea: Danio Manfredini. Il maestro fa di “più” della recitazione teatrale; è bellezza e genialità. “Vocazione” né è la riconferma per chi nutrisse ancora qualche dubbio. Queste mie riflessioni possono risultare ultronee perché questa volta la critica l’ha fatta lo stesso ideatore-attore-regista di Vocazione, mentre il pubblico e tutti gli altri destinatari dello spettacolo ne sono stati i protagonisti: il Genio si esprime sulla salute del teatro, sui sacrifici e le sofferenze di chi lo pratica, del vortice dei suoi scrittori ed attori, di chi si interroga a quanti importa che ogni sera in scena ci sia chi si mangia la vita e di chi pensa che si tratti di portare la propria croce e avere fede per poter soffrire di teatro!

Già lo stato di salute dipende da quanta cura dedicano i destinatari, pubblico e soggetti vari, al teatro essendone i veri artefici della sua salvezza. Al protagonista(Danio Manfredini) del Gabbiano di Cechov che sostiene di non aver fede e che non sa in cosa consista la sua vocazione si può obiettare che essere praticanti del teatro costituisce risposta e non una scelta in quanto la vocazione com-passionevole (con sofferenza) è risposta; come dichiara altro personaggio in altra scena occorre tanta pazienza per vivere la vocazione proprio come per Giobbe. Il problema sta in chi, pur potendo e volendo, ignora questa RISPOSTA/VOCAZIONE.

Ma per fortuna la speranza persiste e se è stata profetizzata la morte, ed apparentemente l’autore sembra cantarne il Requiem, torna a soccorrere l’ infallibile genialità del Maestro altro personaggio, alla fine dello spettacolo, dice di riunire la morte alla vita con un bacio:e nuova salvezza fu per il teatro! E da una sua allieva, che ha tratto benefici dal consiglio di non sottoscrivere contratti con la morte, non può non elevarsi un Grazie per un articolo di critica teatrale e pedagogia scritto senza parole ma con scene e testo di azioni dello stesso Manfredini e di altri autori. Ma a distanza di due settimane lo stesso spazio teatrale raccoglie un’altra vocazione: quella di Arturo Cirillo e Tieffe Teatro. Questa compagnia risponde con lo “LO ZOO DI VETRO” la famosa pièce di uno degli scrittori di teatro americani che si sono affermati con maggior nettezza sulla scena internazionale. Ciò che nella Vocazione di Danio Manfredini è stata una riflessione sul decadentismo umano, qui quella riflessione viene rappresentata nello specifico attraverso i quattro personaggi che interpretano il fallimento della famiglia causato da ossessioni personali di freudiana memoria. E così, ognuno di essi si racconta in forma monologica o dialogica ma come commento a delle fotografie di un album che viene sfogliato da uno dei personaggi, dal figlio/ArturoCirillo che diventa anche narratore o meglio colui che descrive i personaggi delle fotografie che, in attesa ai bordi dei quattro lati dell’interno della casa coniugale, attendono il loro turno per fare ingresso e raccontarsi/sfogliarsi. In realtà i quattro vivono le loro ossessioni anche con riferimento ad un quinto personaggio (il padre) che non viene rappresentato, ma esiste e condiziona la vita degli altri ed in particolare di quella della madre che si impone fino a  sostituirsi nelle scelte dei suoi due figli che di contro tentano di sfuggire a tale asfissia cercando libertà l’uno nella visione di film a cinema e l’altra nella sua collezione di animaletti di vetro. Bellezza e tristezza nel commento musicale delle canzoni di Luigi Tenco che fa da stacchetto tra una scena e l’altra. Lavoro ben riuscito che si apprezza anche nella sobria comicità del genere commedia cui appartiene; riflessione di Decadentismo contemporaneo e vivente per il primo spettacolo, decadentismo testimoniato dai personaggi nel secondo spettacolo.

Emilia Brescia