7.11.2016 – La seconda stagione del TRIC Teatri di Bari  è stata avviata presso il teatro Kismet  di Bari lo scorso fine settimana dalla compagnia Ricci/Forte con il suo spettacolo ispirato dalla morale pasoliniana.

Inizia a sipario aperto su una scena in cui insiste nell’angolo sinistro un ammasso di gomme di diverse dimensioni dipinte di bianco. Il senso del vuoto e dell’inutilità si  propaga  da quell’angolo su tutta la scena e oltre l’immaginaria quarta parete. Quel che rimane di una vita senza creatività viene inventariato.

Ma cosa  gli attori (rectìus performer) descrivono sul palco? 

Un enorme e pesante fardello che Sartori trasporta sulle spalle mentre le attrici (Anna Gualdo, Liliana Laera, Emilie Flamant, Elodie Colin, Cécile Basset), ognuna nella propria diversa lingua esprimono una cultura morta ed incomunicabile. Ciò impera a suon di fortissime vibrazioni come derivanti da rumori di bombardamenti, visi che si trasformano in maschere che esprimono dolore di violenza fisica. Giri di valzer alleggeriscono per un momento lo scarno ma pesante inventario, ma è un’illusione proprio come il ballo di ogni inizio d’anno che non fa a tempo a terminare che tutto riprende come prima.

Le gomme come luogo abitato da suina esistenza, da vecchie abitudini di coscienza, sottolineate dalla canzone “Stessa spiaggia stesso mare”, appiattiscono le relazioni umane su una morale ipocrita, ma sempre presente e meno umana.

Colui che procede ad inventariare usa  parole in forma di monologhi  per descrivere la stessa aridità creativa dell’intelletto, mentre le cinque attrici, si descrivono ora giornaliste compiacenti nell’omologarsi nella comunicazione di cui sono vittime incapaci di liberarsi, ora protagoniste necessarie di una drammaturgia in fieri. Sulle stesse coordinate spazio-temporali l’attore/artista Sartori non riesce più ad ultimare  la sua opera di scrittura, sommerso  com’è dal liquido nero (incompiuta opera  pasoliniana Petrolio o inchiostro nero allusivo della baumaniana liquida società?) che si espande, ma senza alcuna nuova forma creativa.

Lo spettacolo, apparentemente strutturato in sequenze confuse, quasi cinematografiche, sviluppa il dramma della quiescenza artistica dell’intelletto di pari passo a quella della morale umana: più che un dramma vissuto si assiste  alla descrizione performativa del dramma che, seppur non convince del tutto,  di certo lascia sperare con il famoso brano dei Queen “The show must go on”: “…qualcuno sa per cosa viviamo?…devo trovare la volontà di andare avanti…Lo spettacolo deve continuare”.

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Emilia Brescia